Giunge in redazione questo comunicato stampa dal coordinamento per la pace di Trapani:
«Cinquemila soldati, ottanta velivoli da combattimento, un mese di operazioni. Questi i numeri del programma di esercitazioni della Nato che coinvolgeranno la base militare di Birgi nell´ambito del più ampio programma denominato Trident Juncture 2015, una messa a punto delle capacità di intervento rapido delle forze armate occidentali per gli scenari di guerra programmati per il prossimo futuro. Non è purtroppo un caso che la scelta dei vertici dell´Aeronautica militare sia ricaduta su Trapani. Nel loro primo comunicato, ormai irreperibile sul sito ufficiale, i militari italiani avevano incautamente ammesso di non poter svolgere le operazioni in Sardegna, a Decimomannu, perché non sussistono «le condizioni per operare con la serenità necessaria». Un´evidente ammissione di difficoltà che conferma l´efficacia delle mobilitazioni del popolo sardo, impegnato da anni nella lotta contro la nefasta presenza delle servitù militari in Sardegna. In Sicilia occidentale, invece, la presenza di Birgi, della Nato, o del radar di contrada Perino, non è mai stata percepita - tranne alcune eccezioni - con particolare fastidio dalla popolazione. Basti pensare allo stolido entusiasmo che circondò, un anno fa, le vergognose esibizioni aeronautiche di «Fly for peace», quando per alcuni giorni i cieli di Trapani furono infestati da rombanti e lugubri aerei da combattimento. Ma nonostante il permanente inquinamento acustico, atmosferico ed elettromagnetico causato dalle infrastrutture belliche, a Trapani ci si accorge di quanto siano fastidiosi i militari di Birgi solo quando l´aeroporto civile viene chiuso per dare spazio ai suoi veri padroni intenti a fare la guerra (così come accadde nel 2011, con l´aggressione militare in Libia). Abbiamo ragione di credere che anche per le prossime esercitazioni Nato, l´aeroporto "Vincenzo Florio" subirà un drastico ridimensionamento della sua attività, con evidenti ripercussioni sul flusso turistico e le attività economiche del territorio. Ma il ragionamento va allargato alla natura assassina delle esercitazioni Nato in un quadro internazionale che va ben al di là del nostro ombelico e che ci rende, comunque, un obiettivo sensibile. I paesi del Patto atlantico si preparano alle nuove, imminenti guerre da scatenare su più fronti. Dopo aver scientificamente destabilizzato il Medioriente e il Nordafrica mortificando le aspirazioni alla libertà di quei popoli in favore dei settori più conservatori e oscurantisti, i governi occidentali pensano di risolvere le conseguenze dei disastri delle loro politiche neocoloniali ricorrendo al solito strumento: la guerra. Che si tratti dell´estremismo islamico che incendia il Vicino Oriente o dei flussi migratori dei disperati che scappano in Europa, la soluzione prospettata è sempre di tipo militare. Se a tutto questo aggiungiamo le rinnovate tensioni con la Russia, l´appoggio occidentale all´Ucraina, la corsa al petrolio dell´Artico, si comprende bene la strumentale necessità degli apparati politici e militari di tenere in piedi la macchina criminale della Nato. D´altra parte, la guerra permanente è sempre un ottimo affare: basti pensare che nel 2014 l´export di armi italiane verso i paesi del Nordafrica e in Medioriente ha fruttato qualcosa come 30 milioni di euro. Il circolo vizioso è proprio questo: i paesi occidentali vendono armamenti in cambio di risorse energetiche, alimentano in questo modo i conflitti e i terrorismi che infiammano il pianeta, forniscono le armi proprio a chi dicono di voler combattere, fomentano l´odio razzista contro le persone che scappano da questi orrori, e poi si attrezzano per ulteriori guerre in nome della "pace" o della "sicurezza internazionale" ».
Parole dure che definiscono una posizione ben precisa.
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