L’anti-antimafia. Quello che i nostri eroi non meritano
Una famosa massima recita così: «Meglio tacere e passare per idiota, che aprir bocca e dissipare ogni dubbio». Ma andiamo con ordine… È il 14 aprile 1985, qualche giorno dopo la Strage di Pizzolungo, che ha fatto saltare insieme a Barbara Rizzo e i gemellini Giuseppe e Salvatore Asta, il tabù di una mafia “buona” in realtà mai esistita, che risparmia donne e bambini. Anche i preti, si vedrà ben presto. Il Giornale di Sicilia pubblica una lettera: «Sono una onesta cittadina che paga regolarmente le tasse e lavora otto ore al giorno. Vorrei essere aiutata a risolvere il mio problema che, credo, sia quello di tutti gli abitanti della medesima via. Regolarmente tutti i giorni (non c’è sabato e domenica che tenga), al mattino, durante l’ora di pranzo, nel primissimo pomeriggio e la sera (senza limiti d’orario) vengo letteralmente assillata da continue e assordanti sirene di auto della polizia che scortano i vari giudici. Ora io mi domando: è mai possibile che non si possa, eventualmente, riposare un poco nell’intervallo del lavoro o, quantomeno, seguire un programma televisivo in pace, dato che, pure con le finestre chiuse, il rumore delle sirene è molto forte? Mi rivolgo al giornale per chiedere perch´ non si costruiscono per questi “egregi signori” delle villette alla periferia della città, in modo tale che, da una parte sia tutelata la tranquillità di noi cittadini lavoratori, dall’altra, soprattutto, l’incolumità di noi tutti che, nel caso di un attentato, siamo regolarmente coinvolti senza ragione (vedi strage Chinnici)». Era seccata la signora in questione, preoccupata per la propria incolumità e, assai altruisticamente, per quella degli altri “cittadini lavoratori”. Perch´, allora, non ghettizzare i magistrati impegnati nella lotta alla mafia? A quanti non vedevano di buon occhio il lavoro svolto da “egregi signori” come Falcone e Borsellino, e a quanti strumentalizzavano (si veda il fallito attentato dell’Addaura, nel 1989, quando qualcuno disse che Falcone la bomba se l’era piazzata da solo), si aggiungeva chi non lo comprendeva affatto; chi addirittura disconosceva le loro figure e la loro caratura. Lo stesso Falcone, nel suo libro “Cose di Cosa nostra”, avrebbe ricordato quando a Palermo, andato ad abitare in via Notarbartolo, vicino la centralissima via Libertà, l’amministratore dello stabile gli inviò anzitempo una lettera ufficiale con la quale comunicava che veniva declinata ogni responsabilità per eventuali danni recati all’edificio. «Un giorno – continua il giudice nel suo libro –, arrivato davanti casa, con il mio solito seguito di sirene spiegate, purtroppo, di auto della polizia e di agenti con le armi in pugno, ho avuto il tempo di sentire un passante sussurrare: “Certo che per essere protetto in questo modo, deve aver commesso qualcosa di malvagio!”» Di esempi se ne potrebbero fare davvero tantissimi. L’unico vero freno all’antimafia, è forse l’anti-antimafia. Ne esiste, purtroppo, una ben più grave, di stampo “legale”, ma oggi non ci soffermiamo su quella. Ci riferiamo a quella incosciente e inconsapevole, quella delle convinzioni, della presunzione, a volte anche dell’invidia. In una parola sola, è l’ignoranza. Una ingiustificabile e complice ignoranza, che oggi, anniversario della Strage di Capaci – dove morirono il giudice Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, insieme agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro –, non può non può non portarci alle recenti polemiche di Castelvetrano. Nella città del boss latitante Matteo Messina Denaro, in occasione della manifestazione "Musiche e parole contro la mafia", promossa dal liceo scientifico “Michele Cipolla” e rivolta a tutte le scuole del territorio, il collegio dei docenti dell’istituto “Giovan Battista Ferrigno” avrebbe deciso a maggioranza di non aderire. A comunicarlo, tramite Facebook, il preside del “Cipolla” Francesco Fiordaliso: «Il preside Pietro Ciulla (dell’Istituto “Ferrigno”, Ndr) mi ha comunicato che si tratta di una decisione del collegio dei docenti, i quali avrebbero preferito uno slogan “per la legalità” e non “contro la mafia”. Un messaggio certamente non edificante che viene dato all’esterno, in un momento delicato come questo». A Trapani, c’è stato chi non ha potuto fare a meno di ricordare «qualcuno che disse che ai ragazzi non si deve parlare di Mafia perch´ si impressionano». Chiaro riferimento alle indimenticate parole del sindaco Vito Damiano – fraintese, dice lui. «Raccolte le adesioni dei Dirigenti delle altre scuole – ha successivamente sottolineato Fiordaliso –, ho ritelefonato al dirigente Ciulla, sottolineandogli che sarebbe mancata solo l´adesione della sua scuola, ma egli mi ha ribadito la sua volontà di restare fuori dalla manifestazione, nonostante io gli sottolineassi la gravità della scelta». La replica del preside Ciulla, ben articolata, non s’è fatta attendere: «Posso ben rispondere – termina la nota – che il cammino all’educazione alla legalità non è frutto di protagonismo ma di un’azione comune di chi, come noi rappresentanti della Scuola, ha il compito di formare ed educare i giovani. E posso ben dire che la coscienza retta si ride delle bugie della fama». Ciulla ha ricordato i progetti e le attività dell’istituto che dirige a sostegno della legalità, un’assemblea con i lavoratori licenziati della 6GdO, e quanto investito in questa che è senza dubbio una vera e propria cultura. Nessuno, gratuitamente e aprioristicamente, vuol puntare il dito contro l’itc “Ferrigno”, che dati alla mano, si è più volte speso nell’importante causa della legalità, ma la decisione assunta a maggioranza dal collegio dei docenti non può non apparire contraddittoria e triste. Per cosa poi? Per una manifestazione che avrebbe dovuto raggiungere, senza troppe discussione, l’unanimità dei consensi da parte degli insegnati. Invece ci si è soffermati su una dicitura diversa rispetto quella degli altri anni. E chi lo sa il perch´. Un NO che brucia, che non solo non passa inosservato, ma non può convincere; fa storcere il naso. Tornano alla mente le parole del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, ancor più incisive, perch´ ricordate a pochi giorni dalla storica sentenza della Corte d´Assise di Trapani, che ha condannato all’ergastolo Vincenzo Virga e Vito Mazzara, accusati di essere rispettivamente il mandante e l´esecutore del delitto, avvenuto il 26 settembre 1988. «Spesso accade, spesso è accaduto che, anche persone che ci vogliono bene, ci hanno consigliato di parlare il meno possibile di mafia e perch´, dicono, in questo modo ci facciamo cattiva pubblicità e di questo non abbiamo bisogno, noi siciliani e in particolare noi trapanesi, perch´ anzi altra è l´immagine che ci occorre per poter finalmente decollare, per poter finalmente battere questo sottosviluppo che ci caccia nel terzo, nel quarto mondo. E noi sempre abbiamo continuato, quando era necessario e quando era possibile, a parlare di mafia».
M. A.
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